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Cambia il vento

Si chiude vittoriosamente una delle campagne referendarie più osteggiate della storia della Repubblica. Hanno vinto i sì non senza passare per un percorso piuttosto travagliato, in cui le istituzioni hanno operato per far mancare il quorum.

Ieri sera in Piazza Vittorio Veneto un gruppo di rappresentanti delle associazioni del comitato 4 si ai referendum ha letteralmente vestito i motivi della protesta alla delibera di giunta n.180 del 19/5/2011 del sindaco Francesco Ventola che impedisce l’utilizzo della centralissima piazza relegando la comunicazione referendaria a siti più periferici. I commenti al quantomeno inopportuno provvedimento dei canosini, riferisce Sabino Lagrasta presidente della locale sezione del WWF, sono tutti a nostro favore, nessuno comprende i reali motivi che hanno portato la giunta a quella che viene vissuta come un’inutile ed ingiustificata prepotenza. Anche persone notoriamente vicine ai partiti che costituiscono l’attuale maggioranza di governo al comune di Canosa, aggiunge Teresa Di Luiso Responsabile dell’associazione Forum Ambientalista, considerano la decisione presa dal Sindaco una inutile e dannosa vessazione. Restiamo in fiduciosa attesa delle decisioni che vorranno prendere gli organi preposti alla verifica della conformità alle leggi che regolamentano le disposizioni comunali in materia di pubblicità ed informazione in periodi elettorali, ai quali è stata inviata la richiesta di annullamento della delibera in oggetto conclude Francesco Di Nicoli portavoce del locale circolo di I.D.V.

Questo il testo di un articolo apparso su "La Gazzetta del Mezzogiorno" a ridosso di quella fatidica data, quando fu notificata la decisione del sindaco di radiare Piazza Vittorio Veneto da quelle adatte alla campagna referendaria. Sembra passato un decennio da allora, eppure sono solo poche settimane.

Davvero il vento sta cambiando se si riesce nell’impresa di sfondare la barriera del quorum (fatto che non avveniva da 16 anni) nei referendum più boicottati della storia. Ai governi non è mai piaciuto vedersi bocciare leggi da loro proposte, men che meno quando ad una di esse è addirittura legato il destino personale di un capo di esecutivo. Finora non si era ancora visto un controllo così sfacciato e potente dei mezzi di informazione, al punto da azzerare qualsiasi notizia che potesse quantomeno invogliare gli elettori a recarsi alle urne. Ciò che è accaduto a livello nazionale è sotto gli occhi di tutti. Certo, se dovessi chiedermi in che misura il conseguimento del quorum rappresenti una sconfitta della coalizione che regge le sorti di Silvio Berlusconi, non avrei problemi a dire che la botta è stata forte; di sicuro i rapporti interni alla maggioranza ne stanno risentendo. Ma c’è qualcosa che rende la sconfitta più seria. Dei temi su cui si è votato, solo il legittimo impedimento aveva una valenza nel rapporto tra le componenti della coalizione di destra. Ed è stata la legge che più ha dato adito a mugugni, anche se sotterranei. Le altre (privatizzazione dell’acqua e ritorno al nucleare) non avevano suscitato un granché di discussioni in Parlamento o particolari elaborazioni normative.





E’ stato proprio su queste ultime che il referendum ha sanzionato il distacco, la distanza quasi incolmabile, ormai, tra potere politico e senso comune. Si è rotto il rapporto magico, che durava già quasi da un ventennio, tra Papi e quella parte di popolo italiano che lo ha sostenuto, ma si sono rotti anche i fili che legano questo esecutivo alle lobby industriali che hanno puntato sul Caimano. Da qualche giorno, quest’ultimi non hanno referenti politici.
Forse il dramma maggiore per Papi è appunto questo, essere riuscito a sopravvivere in Parlamento ricorrendo alla fragilità degli uomini; aver messo su un’alleanza posticcia per un mero scopo aritmetico; non aver capito quello che stava accadendo nel Paese, ed oggi qualcuno ha presentato il conto.
Potremmo, mutatis mutandis, paragonare il declino del Cavaliere a quello della sua quasi emanazione locale, il nostro sindaco Francè? Non penso, il nostro è molto più paraculo di Silvio. Non ne possiede la ricchezza economica e la sua figura manca della tragicità che accomuna i molto potenti nella fase del declino finale. Francè è di altra pasta. Gli episodi dei giorni che vi sto per raccontare prima dei referendum, mostrano uno spaccato forse più inquietante.
Quella di Berlusconi è soprattutto una grande vicenda personale. A leggere le sue biografie non autorizzate, è chiara la sensazione che Papi non è uomo organico ad un sistema o a più sistemi. Lo si ritrova spesso a contatto con mafiosi, con la potentissima finanza cattolica, con la P2 di Gelli, ma mai diventa un loro affiliato, anche quando formalmente lo è. E’ un personaggio che attraversa le più misteriose vicende italiane, le peggiori, ma non ne rimane mai invischiato, entra ed esce senza nemmeno sporcarsi un tantino d’abito. Berlusconi non ha padroni. Combina affari sicuramente, tratta con uomini molto dubbi, al limite della legalità. Ma il suo rapporto è sempre e solo di convenienza, non ne rimane mai coinvolto completamente. Business is business.
Francè è diverso. E’ integrato in un sistema in cui tutti si riconoscono fra di loro e si proteggono. Quando si lega a qualcuno ne rimane preso, non può distaccarsi. Probabilmente non sarà una pedina, ma sicuramente non è un uomo completamente indipendente. Del sistema è la faccia che appare, quella visibile, dietro di essa si nascondono interessi inconfessabili animati da personaggi occulti; possono arrivare anche ai gangli vitali, essenziali dello Stato, coperti da una non scalfibile logica di necessità che impone loro di rimanere allineati. Ecco il racconto di quanto accaduto, che dovrebbe indurci in qualche riflessione.

Ci siamo già occupati un paio di settimane fa della delibera di giunta n. 180 con la quale il sindaco di Canosa, Francesco Ventola, proibiva di fatto l’uso di Piazza Vittorio Veneto per iniziative a sostegno dei referendum. Il fatto fece rumore, essendo quel luogo da tempo immemore punto privilegiato per le attività politiche ed elettorali. Il Coordinamento dei 4 sì protestò pubblicamente (riportiamo il comunicato stampa ed alcune foto scattate durante un presidio in Piazza Vittorio Veneto) e apparvero articoli sui giornali molto critici verso la decisione del sindaco.
Il 28 maggio, Francè si è difeso. Ha fatto diffondere un comunicato stampa con il quale ha tentato di spiegare le motivazioni della delibera, un classico delle argomentazioni “franceschine“: si mescolano ipocrisie e fatti oggettivamente errati, a qualche trovata degna di politici d’antan; non i destrorsi a tutto tondo che non devono giustificarsi mai, piuttosto quelli avvezzi alla malattia antica della furberia, all’uso ambiguo delle parole senza preoccupazione alcuna di cadere in contraddizione o precipitare nel ridicolo. In questo Francè è un vero esperto, convinto com’è che un 72% di consensi elettorali possa costituire un buon motivo per credere che gli altri pendano dalle sue labbra, o che siano quantomeno disposti a bersi tutto quanto egli proferisca. Ma questa volta ha decisamente superato se stesso, tentando perfino di far credere che se si è reso necessario “disciplinare” l’uso delle piazze, è perché non avrebbe voluto che si accavallassero manifestazioni politiche con altre molto meno politiche come quelle delle scolaresche. In pratica, Francè ha tenuto a far sapere che il diritto di esibizione di attori o cantanti in fasce, è superiore a quello di chi è preoccupato che quattro referendum quattro (costo totale stimato per la collettività: 400 milioni di euro) possano finire alle ortiche per mancanza di quorum. Non dimentichiamo che si sta parlando di argomenti come il nucleare, la privatizzazione dell’acqua, di leggi che infrangono in parte la Costituzione. Evidentemente, Francè non ritiene che gli elettori debbano essere informati, lo spettacolo prevale su tutto, visto che il pensiero unico, che si vuole dominante, è quello delle marie de filippi di turno.
La chiusura del suo comunicato stampa si rivelerà un esempio di rara ipocrisia. Rigirando la frittata riesce perfino ad affermare che con “il regolamento adottato, perciò, anziché limitare la presenza in Piazza Vittorio Veneto, dovendola alternare giornalmente tra diversi schieramenti con il problema della compatibilità con altre coincidenti iniziative scolastiche ecc., sono state dedicate altre tre piazze centrali della Città”, concludendo che così “facendo, ogni giorno i soggetti coinvolti hanno a disposizione 1 o 2 piazze presso cui effettuare comizi e/o montare strutture mobili per ogni esigenza”; segue un paragrafo degno del teatro beckettiano quando a chiosa si spinge a sfidare le leggi della logica, con un “mi pare ci siano tutte le condizioni per non sacrificare alcuna esigenza e si sia evitato che in corso d’opera potessero emergere comprensibili recriminazioni da parte dell’uno o l’altro schieramento, pro o contro i quesiti referendari”.
Il problema, che il sindaco in malafede trascura, è che non esistono due schieramenti, ma uno solo, quello del sì, essendo l’opzione del no soppiantata da quella dell’astensione. Ventola non può far finta di ignorare questo piccolo ma importante particolare, non glielo consentono le due cariche politiche che ricopre ed il fatto di stare a capo di quella che dovrebbe, almeno in teoria, essere la coalizione del no. La narrazione di quanto accaduto dopo la delibera n. 180 ed il successivo comunicato stampa, non fa altro che avvalorare la tesi di una carica istituzionale, di garanzia per lo svolgimento di una consultazione popolare, trasformata da arbitro in giocatore, avendo preso chiaramente le parti, solo apparentemente neutre, di chi fa di tutto per eludere il pronunciamento popolare, senza non far mancare una piccola nota falsa e velenosa nel finale. Fa scrivere, infatti, Ventola: “Del resto, chi si lamenta per tale disciplina, ha già manifestato senza alcuna autorizzazione in Piazza Vittorio Veneto e senza che se ne sia fatto un caso di particolare o strumentale rilievo”. Con tutta probabilità il sindaco si riferisce alla manifestazione del Coordinamento dei 4 sì di domenica 15 maggio. E’ bene ricordare che quell’occupazione di Piazza Vittorio Veneto era autorizzata, come avrà avuto modo di verificare da quanto gli è stato relazionato dalla Polizia municipale, intervenuta tempestivamente non appena scoperti i banchetti ed i gazebo allestiti. E’ vero solo in parte che non “se ne sia fatto un caso di particolare o strumentale rilievo” in quanto proprio il giovedì successivo fu disposta quella delibera che ha reso Piazza Vittorio Veneto zona off-limit per qualsiasi tipo di iniziativa referendaria.
Quel che è accaduto nei giorni successivi è la naturale prosecuzione dell’atteggiamento non certo favorevole verso i sostenitori dei referendum. Piazza Vittorio Veneto rimane desolatamente vuota nelle domeniche del 22 e 29 maggio: non ci saranno i sostenitori del sì, ma nemmeno le scolaresche che tanto avevano intenerito Francè.
Domenica 5 giugno (ovvero ad una settimana esatta dalle votazioni) la strategia di deviare l’attenzione il più possibile dai temi referendari è chiarissima. La piazza contesa è occupata, ma da un evento che non ha nulla a che vedere con l’acqua pubblica, il nucleare o il legittimo impedimento. Francè è lì a presentare una kermesse con forze di polizia, una strana macchina rotante ed un palco (pagato non è chiaro da chi) esagerato, da suscitare l’invidia di chi non è riuscito ad ottenere nemmeno un trespolo per un comizio. Il tema è quello della sicurezza stradale: utile, importante, ma decisamente provocatorio quando la discussione è concentrata su questioni di ben altro tenore come le centrali nucleari, ad esempio, che qualche problema di sicurezza lo danno, non tale da captare, però, la sensibilità del sindaco, convinto – come quel personaggio del film Johnny Stecchino – che il problema più grosso è il traffico. Ma quella sera accade anche altro. Un gruppo di giovani legati all’Arci ha organizzato un flash-mob, vestiti con tute bianche come quelle dei tecnici delle centrali atomiche; simuleranno un incidente nucleare. Stranamente quella sera non ci sono solo agenti del locale commissariato. Non è chiaro come, ma tra il pubblico vi sono anche uomini in borghese della Digos, che osservano il movimento e fermano i manifestanti ritirando per qualche ora i documenti.
Quello che accade venerdì 10 giugno è più articolato. E’ l’ultimo giorno di campagna elettorale e l’on. Zazzera (IDV) la chiuderà con un comizio. L’intenzione è quella di forzare il blocco di Piazza Vittorio Veneto e far parlare l’onorevole da lì, dispone dell’immunità parlamentare. Ma gli organizzatori, forse per evitare rogne, considerato che anche questa volta si è mossa nuovamente la Digos, rinunciano al braccio di ferro e optano per la soluzione alternativa, Zazzera parlerà dall’androne di una scalinata, sul lato opposto della strada che divide l’albergo Boemondo da Piazza Vittorio Veneto.
Chissà cosa sarebbe accaduto se il parlamentare avesse violato la delibera di giunta. Chi sarebbe intervenuto per proibirglielo? La Polizia municipale, quella di Stato o la Digos? Avrebbero potuto impedirgli di parlare? Domande senza risposta. Sta di fatto che uno schieramento così consistente di forze dell’ordine è apparso subito esagerato per un paese di provincia, per un referendum e per un gruppo di promotori fatto di studenti, padri e madri di famiglia con in piazza anche i loro ragazzi.
Nello stesso giorno viene negata l’autorizzazione ad occupare Piazza Ferrara e Piazza della Repubblica, indicate dalla giunta come disponibili. Sempre i giovani dell’ARCI avrebbero voluto proiettare un film in tema con i referendum sull’acqua, ma i funzionari del Comune avevano riferito che fantomatici comitati del no le avevano già impegnate. Quelle due piazze sono rimaste vuote. Evidentemente, favorevoli al nucleare e propugnatori della privatizzazione dell’acqua hanno preferito astenersi.

Data prima pubblicazione: 24.06.2011


Sabino Saccinto

Vers. pdf
Pubblicato il 24/06/2013 h 23:16:30
Modificato il 11/03/2014 h 15:02:55

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