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Il venditore di fumo

Si chiude una delle peggiori epoche del nostro dopoguerra. La dittatura morbida di Silvio B. sta volgendo al termine dopo quasi un ventennio. Ma cosa abbiamo imparato noi italiani da questa esperienza?

Berlusconi si avvia lungo il viale del tramonto, forse, dopo 17 lunghi anni. Sono stati la sua era. Ma con Berlusconi non muore il berlusconismo, quello resiste prepotente.
Le notizie si susseguono e il destino dell’Italia sarà quello di affidarsi ad un governo del presidente (quello della Repubblica) affidato a Mario Monti, professore alla Bocconi, membro di consigli d’amministrazione di grosse aziende dal giro d’affari planetario, di istituti economici, di grandi banche, ed ex commissario europeo alla concorrenza, incarico nel quale compì una sorta di reato di lesa maestà verso Billy Gates attaccando la potentissima Microsoft.
Di certo, dietro la nomina di Monti vi è il sicuro fallimento del governo che lo ha preceduto. Ciononostante non mancano i distinguo sull’utilità e sulla conformità ad uno stato democratico di un governo composto da non eletti, o meglio non nominati, e l’eventuale elusione delle dinamiche parlamentari.
Nell’antica Roma, il “dictator” era una figura assolutamente conforme alla Repubblica e prevista nel suo ordinamento. La sua funzione era per certi versi analoga a quella di un governo tecnico di oggi, durava al massimo sei mesi ed aveva poteri speciali.
I nostri governi tecnici non godono di particolari prerogative. Anzi. Subentrano quando la situazione si complica e diventa poco conveniente elettoralmente prendere provvedimenti quasi sempre drastici e qualche volta necessari, anche se le cause del disastro sono riconducibili alla pochezza, alla cialtroneria, all’incompetenza e, in qualche caso, alla disonestà di chi fino a quel momento è stato l’eletto dal popolo.
E’ indubbio che stiamo attraversando un momento difficilissimo in cui stanno venendo al pettine tutti i limiti del nostro sistema paese; così come è altrettanto vero che nessuno di noi può svegliarsi un giorno ed additare un’unica persona come la sola responsabile del disastro. Ora che la parabola del Berlusca volge drammaticamente al termine, la tentazione è forte, ed alcuni di quelli che in passato ne sono stati adulatori, già si preparano a liquidarlo sbrigativamente come fenomeno estemporaneo. E’ sempre il solito film, lo stesso del secolo scorso, con altri protagonisti ed identico finale. Saremmo mai capaci di compiere una riflessione seria sul nostro carattere nazionale e sul nostro rapporto con il potere?

Berlusconi non è nato sotto i cavoli. E’ dal “94 che è sulla scena politica e fu subito un successo, tanto da vincerle, quelle elezioni, salvo cadere dopo qualche mese. Nel “96 le perse e fu condannato alla lunga traversata nel deserto, per vincerle nel 2001, rafforzandosi oltremodo.
Nel 2006 perse inaspettatamente di misura, per poi vincere decisamente nel 2008. Furono quelle due elezioni a rendere la cifra dell’ipocrisia e della disinvoltura con cui rapidamente cambiamo gabbana. Il Berlusca ha incarnato quanto di peggio vi è nel carattere italico, ed è stato molto bravo a vellicarne desideri ed ambizioni. Ha distribuito a piene mani sogni impossibili; ha fatto credere che la chiave del successo fosse a portata di mano e che ambire a diventare miliardari non era peccato. Ha modificato i gradini dell’ascensore sociale. Se prima l’aspirazione di un operaio era quella di migliorare le proprie condizioni di vita, nella convinzione che solo sortendone insieme sarebbe stato possibile, con il Berlusca si assiste ad una trasformazione antropologica: i vecchi punti di riferimento saltano tutti, cresce in ognuno l’idea di poter ambire a qualcosa di più, magari diventare ricco come lui, o, in subordine, accedere, anche se solo come comparsa, al club, sentire l’odore di quel mondo, illudersi di potercela fare.
Berlusconi non sarebbe stato nessuno senza il potentissimo veicolo di propaganda rappresentato dalle sue televisioni, vero motore dell’involuzione culturale che ha prodotto la sfascio e gli sfracelli di questo quasi ventennio.
La chiave di volta che ha mostrato quanto forte è stata la corruzione morale, furono gli esiti delle elezioni del 2006, le stesse precedute dagli scandali Consorte-Unipol, da immobiliaristi come Ricucci e dai furbetti del quartierino, gente arricchita con gli ingenti scudi fiscali studiati per far rientrare quattrini dall’estero e finiti nei fondi speculativi. Sviluppo zero, economia che boccheggiava e soldi a palate nelle tasche dei soliti noti. In quel lustro che vide Papi ininterrottamente a capo dell’esecutivo, il sempiterno ministro dell’Economia Tremonti si era anche esercitato in una più che massiccia opera di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, gli stessi messi a garanzia delle pensioni. Il lento inizio della fine fu allora. I caratteri del berlusconismo erano già ben visibili: leggi ad personam, condoni tombali, ingiustizia sociale, l’Italia dei furbi; una poderosa macchina culturale di corruzione dei costumi; macerie condensabili in una voce dal suono quasi accattivante, “spread”, che rappresenta la cifra del disastro.
Di certo, un governo tecnico affidato a Mario Monti potrebbe aiutarci a superare il momentaccio della speculazione e della scarsa credibilità internazionale, ma non possiamo negare a noi stessi i pessimi fondamentali e i reali problemi.
Una della bufale che il ministro dell’Economia del governo berluscomico amava propinarci in tandem con il capo, che di suo ci ricordava che non è assolutamente vero che in Italia c’è la crisi, basta guardare i ristoranti sempre pieni, i voli aerei sempre affollati e le autostrade congestionate nei fine settimana estivi, era quella sulla presunta forza dell’industria manifatturiera italiana. Ebbene, mentre proseguiva il Truman show a cui buona parte degli italiani hanno creduto e credono ancora, un’ottima fetta dell’industria nazionale chiudeva. A volte per crisi, altre perché la mitica classe dirigente italica approfittava del clima di distrazione di massa per serrare i battenti in casa nostra e spostare gli opifici oltre frontiera, lì dove la manodopera costava meno. Il tutto mentre lo spettacolo andava avanti ed il suo governo complice non solo non muoveva un dito per porre fine all’emorragia, ma si preoccupava addirittura di dare una sforbiciatina a quel che rimaneva dei diritti acquisiti, tifando Marchionne. Non dimentichiamo che nell’ultimo emendamento alla manovra regolatrice dei conti imposta da Bruxelles, qualcuno aveva inserito un articolo che permetteva di andare in deroga ai contratti collettivi nazionali.
Oggi, i due grossi protagonisti di questa involuzione culturale, Berlusca e Marchionne, non se la passano tanto bene, il primo ha consegnato ad un tecnico le chiavi del governo; il secondo non riesce a tenere il passo della concorrenza e vende poche automobili. Dietro c’è un’Italia impoverita, avvilita, turlupinata dal venditore di fumo che aveva promesso la rivoluzione liberale e che invece ci ha portato in una delle peggiori paludi che la storia nazionale dal dopoguerra in poi ricordi.
Ha passato la mano prima di essere sfiduciato in Parlamento. I suoi ostentano magnanimità. La palla passa al prof. Monti, il quale ha fatto sapere che in Italia ci sono troppi privilegi, e poi dovrà proseguire la sua opera tagliando le pensioni come promesso, introducendo una tassa sul patrimonio e ripristinando l’ICI, la bandiera della liberazione dallo Stato succhia sangue nella propaganda berlusconiana, la promessa fatale che gli era servita a rafforzare la tesi dell’uomo che non mette le mani nelle tasche degli italiani. Il guaio è che le politiche dissennate di questo quasi ventennio berlusconiano costringono il Professore non solo ad infilare le mani in qualche tasca, ma probabilmente anche – questioni di equità - ad intaccare i forzieri di chi è sempre stato molto parco nei versamenti al fisco. E’ qui che casca l’asino berlusconiano, che, stando a quanto raccontano i giornali, ha quasi barattato con il presidente del consiglio subentrante la sua uscita, mettendo al sicuro aziende e processi.
Il Berlusca ha da tutelare i suoi interessi, e l’idea della patrimoniale proprio non riesce a mandarla giù. Inoltre è ancora l’azionista di riferimento del Parlamento, al Senato la maggioranza è ancora sua. Quello di Monti appare un governo fragile, esposto agli umori degli avversi schieramenti. Ma paradossalmente potrebbe essere proprio questa la sua forza. Il Professore da questa esperienza non ha proprio nulla da perdere, ma solo da guadagnare. Non ha la necessità di dover rimanere attaccato alla poltrona. Può permettersi di somministrare la medicina amara e farlo con l’aria del medico cosciente dell’assenza di alternative. Il problema è dei partiti politici, che non vogliono intestarsi scelte impopolari per non compromettere la prossima campagna elettorale. Ma il gioco è pericoloso e si cammina lungo la lama di un rasoio. Se Monti dovesse cadere anzitempo, l’Italia rischierebbe il default e chissà quanti saranno disposti ad intestarsi la responsabilità del fallimento.


P.S. Il mio post precedente, “A volte ritornano”, ha suscitato le reazioni sdegnate di alcuni personaggi di peso della politica canosina passata e presente che, evidentemente, si sono sentiti toccati e offesi dal suo contenuto. Poco male, siamo abituati a scenate di questo tipo.
Spaventa invece la dabbenaggine di chi, elucubrando, si è lasciato andare ad incredibili farneticazioni, pervenendo alla conclusione fantapolitica che Dueparole.eu sarebbe al soldo di Francè o finanziato da chissà quale misteriosa entità, o che sia pilotato da una sorta di Spectre della disinformazione. Voglio rassicurarli. Dueparole.eu è un sito che si occupa prevalentemente di avvenimenti politici e lo fa senza alcun altro interesse che la condivisione di informazioni, la critica spesso aspra alla cattiva politica, l’attività di denuncia. Ha un suo orientamento ideologico, sarebbe disonesto negarlo, ma non risparmia critiche a nessuno. Non è house-organ di alcun partito, anche se a scrivere sono persone che ricoprono cariche o vi sono semplicemente iscritti.
La polemica artificiosa e strumentale, tesa a dimostrare l’organicità di un post a un’idea condivisa all’interno di un determinato partito su quanto sta accadendo nell’area del centro-sinistra, è assolutamente destituita di fondamento e del tutto fuori luogo; oltre a rappresentare una dimostrazione di povertà intellettuale di certi sedicenti sinistrorsi che non si fanno scrupolo di ricorrere a forzature, alle quali sono naturalmente avvezzi quando vogliono far quadrare conti che non tornano. Inoltre Dueparole.eu ha sempre dato la possibilità a chiunque volesse replicare, di farlo utilizzando lo spazio del sito. Purtroppo constato che a qualcuno certe garanzie non bastano, preferendo le e-mail infanganti a stretto giro di posta. Certi atteggiamenti non sono nemmeno degni di commento.


Sabino Saccinto

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Pubblicato il 12/12/2012 h 21:37:08
Modificato il 15/01/2014 h 13:32:54

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