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L’equivoco grillino e il delitto perfetto

Il M5S è di destra o di sinistra? Loro non si considerano appartenenti ad alcuna delle famiglie politiche tradizionali, si ritengono al di sopra. Il problema semmai è di chi vorrebbe catalogarli sulla base del programma. E lì qualche abbaglio è stato preso.

Avreste mai immaginato che un non-partito approdato per la prima volta meno di tre mesi fa in Parlamento, sarebbe riuscito a sbriciolare forse l’unica formazione politica strutturata secondo la maniera tradizionale dei partiti italiani? Probabilmente no. Invece è accaduto proprio questo quel venerdì 19 aprile 2013, quando, nell’eleggere il presidente della Repubblica, è fallita l’ennesima operazione del Partito Democratico, mancando 101 voti al fondatore dell’Ulivo Romano Prodi, distolto per l’occasione dalla sua missione in Mali, e certificando di fatto la morte del PD con seguito di dimissioni di presidente, segretario e membri della segreteria tutta.
Si potrà discutere fino allo sfinimento della nomenclatura, dei gruppi dirigenti ristretti, dei nuovi parlamentari nati dalle Primarie e privi di esperienza, succubi della maggiore visibilità attribuita dai media ai loro coetanei pentastellati e dell’impotenza dei propri argomenti rispetto a quelli più forti dei grillini. Potremmo tirarci in mezzo le faide interne, le vendette trasversali, la fusione fredda, l’amalgama mai avvenuto, se non la maionese impazzita tra la cultura sociale e politica cattolica e quella socialista. Sta di fatto che un risultato così clamoroso ha sicuramente cause endogene, ma non possiamo non considerare, con il dovere dell’obiettività, che ci sono stati anche fattori esogeni che hanno provocato il crac del sistema.



Il tutto trae le sue origini da un equivoco nel quale siamo caduti in tanti a sinistra, e con noi, in primis, l’allora segretario del PD, Bersani: quello di aver creduto che il MoVimento fosse di sinistra perché nel suo programma riportava temi cari a questa parte politica. Nulla di più sbagliato.
Il secondo errore, o equivoco, è conseguenza del primo: credere che tutto sommato Grillo e i grillini fossero da considerare una sorta di riserva naturale. Non è così. I grillini hanno pervicacemente ribadito la loro estraneità a tutto ciò che odorasse di vecchia politica, soffermandosi sul metodo piuttosto che sul merito delle questioni. E visto che i metodi sono quasi codificati per entrambi gli schieramenti, è apparso impossibile per loro carpire le differenze, separare il grano dal loglio.
Il terzo, e più tragico, è stato pensare che le logiche dei pentastellati fossero riconducibili a quelle di altri movimenti conosciuti in passato, quelli che acquisiscono rappresentanze parlamentari, spesso agognate e minime, puntando su temi specifici, e impegnandosi per sostenerli fino allo stremo, non preoccupandosi di stringere alleanze con l’uno o con l’altro schieramento o partito; interessati al pragmatismo, a quello che può tornare utile allo scopo, più che all’ideologia.
E’ indubbio che nell’approcciarsi ai pentastellati, Bersani, con tutta probabilità, sia ricaduto in tutti questi equivoci, se non qualcuno di più. La scelta immediata - dettata forse dall’istinto politico più che dalla ragione - di trovare un accordo meramente tecnico per far partire un suo governo attraverso un voto di fiducia non impegnativo sul piano politico, correndo poi il rischio di cadere o di ritrovarsi a mal partito nel caso in cui i provvedimenti presentati non fossero di gradimento dei grillini, lo dimostra lapalissianamente; così come lo slogan adottato per marcare il suo governo (di cambiamento) e i famosi otto punti che avrebbero dovuto rappresentare una sorta di biglietto da visita per rassicurarli sulle sue buone intenzioni.
A noi, semplici osservatori, appariva evidente che il Segretario si stava giocando il tutto per tutto; che quella era una via senza sbocchi e che, fallito quel tentativo, dopo sarebbe arrivato il disastro. Anche chi non conosce le vicende di Palazzo del Partito Democratico nel dettaglio e si basa sulle proprie impressioni o sulle cronache giornalistiche per farsi un’idea di quanto accade, sa che all’interno del PD - le Primarie lo hanno dimostrato – esiste una corrente centrista ed una di sinistra in perenne lotta intestina. La scelta di Bersani di puntare ad un’alleanza non organica con il Movimento, era stata molto criticata da quanti nel PD avevano optato, già subito dopo l’esito delle votazioni, per le Grandi Intese o Governissimo che dir si voglia. L’unica speranza di tenere spostato a sinistra l’asse era quella di riuscire a completare l’operazione 5 stelle. Il suo fallimento, con la drammatica quanto umiliante sequenza dell’incontro in streaming con i capigruppo pentastellati, ha segnato definitivamente il destino di Bersani, del PD e dell’Italia. Quanto accaduto dopo è stato solo la naturale conseguenza di un percorso già segnato, del quale non vi era assolutamente nulla da stupirsi. Il Partito Democratico non è esploso quando si è trattato di eleggere il presidente della Repubblica, il suo destino era stato già scritto, nella fissità di quelle immagini, dalla raccomandazione di Bersani di stare attenti, dalle parole sprezzanti ed ignoranti della Lombardi alla quale non pareva vero di stare a parlare con il segretario del più grande partito della sinistra, tenuto drammaticamente sotto scacco, bensì di trovarsi ad una puntata di Ballarò, la politica – anche nei suoi momenti più drammatici – ridotta ad un talk-show. E pensare che l’accordo con il PD avrebbe aperto loro praterie, sui diritti civili, sul rapporto con la destra, sull’atavico conflitto di interessi di Berlusconi, sul contenimento dei poteri forti. Rinunciarci ha significato anche negarsi la possibilità di incidere significativamente sui temi che erano stati i cavalli di battaglia di Grillo nella campagna elettorale; un’aspettativa gradita al popolo democratico prima ancora che grillino.
Sorgono un paio di interrogativi, di cui il primo è il seguente: Grillo e le menti pensanti, gli strateghi del Movimento, hanno capito che quell’accordo poteva tornargli utile? Non lo hanno afferrato per scarsità di acume mentale o hanno preferito scientemente optare per la dissoluzione assistita del PD? Si erano fatti due conti su chi sarebbe stato il maggiore beneficiario di quella loro scelta politica dissennata? Non si sono mai resi conto che oggettivamente stavano facendo il gioco di quello che almeno a parole era ed è il loro principale avversario?
Tra i grillini, il front-man del Movimento è anche il decisore della linea politica e l’unico autorizzato a pensare. Lui sostiene, ma in questo è davvero in buona compagnia, che i partiti siano tutti uguali e che si reggano su un accordo occulto teso a conservarli, a garantirgli il potere. Lui chiama PDL il partito di Berlusconi e Pdmenoelle quello che era di Bersani. Nella sua logica sono tutti ladri, tutti affaristi, tutti ugualmente corrotti, tutti legati ai poteri forti che dominano e imperversano. Non è chiaro se questa idea, che indubbiamente ha molta presa sull’elettorato, corrisponda anche a tutto il suo pensiero o se Grillo disponga di una sorta di riserva strategica analitica, se sia capace anche di ragionare sui fatti. Non è chiaro, cioè, se il demiurgo racconti ai suoi tutto ciò che sa e pensa o se solo ciò che è funzionale alla propaganda. In entrambi i casi c’è da preoccuparsi. Se infatti dovesse essere vera la prima, dovremmo temere seriamente i destini della nazione, vorrebbe dire che siamo finiti nelle mani di persone non assolutamente in grado di esaminare dettagliatamente un problema e prendere le decisioni più opportune. Se, viceversa, Grillo è reticente con la sua base, ma estremamente capace di elaborare analisi complesse e strategie articolate, dovremmo preoccuparci ancora di più, sarà chiaro che l’uomo che abbiamo di fronte è un autentico sovversivo, una persona che tende a demolire le istituzioni così come le conosciamo, per soppiantarle con altre che non conosciamo. In ogni caso stiamo correndo rischi molto seri.
Ovviamente la prima ipotesi è da scartare, ammesso che non si voglia riconoscere che qualunque deficiente possa riscuotere il successo di Grillo fino a fondare un partito politico, anche se di clamorosi precedenti la storia non è priva. E’ più probabile, invece, che dietro Grillo ci sia un disegno molto più complesso e sofisticato. Come è noto, Grillo è semplicemente il front-man di una organizzazione di cui si sa davvero molto poco e che trova nella Casaleggio e Associati il suo motore commerciale e organizzativo. E’ credibile che questa azienda che dirige il personaggio politico più influente del momento, sia completamente avulsa dalla realtà economica e politica di uno Stato importante come l’Italia e che nessuno ha mostrato interesse nell’investire in loro? Come e da chi è composta la compagine societaria della Casalleggio e Associati?
A far pensare ci sono alcuni fatti accaduti in questi due mesi, il primo dei quali è stato l’improvviso quanto bizzarro interesse di alcune grosse banche americane per il Movimento 5 stelle. Cinismo e pragmatismo tipicamente d’Oltreoceano si dirà. La cosa non è sfuggita ad un osservatore attento come Eugenio Scalfari, che in un editoriale della domenica su “La Repubblica” commentò la notizia mettendola in relazione ad un punto del programma di Grillo, l’abolizione della moneta unica europea ed il ritorno alle divise nazionali. Non è ozioso ricordare che anche finanzieri molto sospetti, in questo senso, come Soros, erano già intervenuti nel dibattito scrivendo articoli, poi pubblicati su importanti giornali, nei quali avevano sostenuto la necessità, per i paesi mediterranei, di liberarsi dal giogo dell’euro e adottare monete armonizzate alla propria economia. Al di là della validità scientifica di certe opinioni, credo sia importante sottolineare che Soros, in passato, ha tratto notevoli profitti dalla speculazione monetaria. Celebre fu l’attacco alla Banca d’Inghilterra, ma non solo, lui stesso ha ammesso in passato di aver compiuto operazioni con la lira, così come non si può dimenticare che anni fa fu proprio l’ex-presidente della Camera Gianfranco Fini ad invocare il suo arresto per trascorsi non proprio edificanti.
Che 5 Stelle piaccia agli americani lo dimostra anche la convocazione di suoi esponenti presso l’ambasciatore in Italia, avvenuta qualche settimana fa. E’ molto raro che membri di un partito politico che non ricoprono ruoli governativi, vengano riuniti in una sede diplomatica di un così importante paese.

Ora veniamo all’uso della Rete per influenzare la vita politica di una nazione. Qualche anno fa mostrarono a Report (la trasmissione curata da Milena Gabanelli, la vincitrice delle “Quirinarie”) come gruppi di esperti di comunicazione potessero, attraverso azioni mirate come volantinaggi, siti internet costruiti ad hoc, campagne informative, creare instabilità perfino in Stati retti da regimi autoritari, se non dittatoriali, apparentemente inattaccabili. Il tutto senza spargimento di sangue e con effetti a dir poco sorprendenti, fino alla caduta del dittatore. Sistemi sofisticati, ma sperimentati finora in nazioni piccole e non necessariamente molto evolute. Una situazione forse lontana da quella di casa nostra, ma non priva di qualche analogia, anche se le strategie elaborate dallo staff di controllo dei pentastellati sembra perfino perseguire fini più ambiziosi utilizzando processi ancora più sofisticati.
Ad esempio, Grillo, o chi per lui, non si accontenta di una pattuglia più o meno numerosa di fedelissimi in Parlamento, pretende perfino lo stravolgimento del metodo democratico codificato nella Costituzione. Utilizza la Rete, cioè quanto di più falsificabile, complesso e manipolabile possa esistere, per definire scelte apparentemente democratiche, in realtà alterate attraverso una sagace procedura di filtro da chi detiene il controllo dei mezzi. Il suo blog non serve solo a veicolare messaggi che diano all’utente l’impressione di vivere in un contesto di estrema libertà e incisività delle opinioni (non fa eccezione, semmai conferma la regola, la depurazione dei post meno in linea con il pensiero ufficiale), ma si propone come mezzo di democrazia diretta, derubricando il ruolo dei parlamentari a quello di semplici portavoce, azzerando il principio della delega, uno dei cardini della democrazia rappresentativa. Per lui, l’attuale sistema di decisione fondato sulla centralità del Parlamento, è solo un retaggio del passato, destinato ad essere superato dal ruolo del cittadino non più elettore, ma decisore diretto del proprio destino, il quale, con una semplice opzione espressa su una pagina web, potrà decidere anche il destino di leggi in via di approvazione: una sorta di referendum costante e continuo.
Grillo precorre i tempi, ma la politica tradizionale lo snobba, lasciandogli campo libero. Questo modo di fare è stato già applicato in due circostanze, attirandosi le attenzioni di importanti columnist. Se le “parlamentarie“ hanno suscitato più che altro ironia, riempiendo poi il Parlamento di deputati e senatori che sembravano precipitati da Marte, ben altra storia sono state le “Quirinarie”, il sondaggio per scegliere il candidato a 5 stelle per la presidenza della Repubblica, finite per creare una quasi rivolta di piazza. E’ risaputo che per Costituzione, il Capo dello Stato lo eleggono le due Camere in seduta congiunta a cui si aggiungono i delegati regionali. Grillo è riuscito ad alterare questo principio, trasformando di fatto l’Italia in una repubblica presidenziale, e con metodi alquanto discutibili.
Delle famose, o famigerate, “Quirinarie”, dalle quali è piovuto il prof. Stefano Rodotà come candidato dei grillini, non si sa praticamente nulla, se non che quelle del giorno prima erano state invalidate per l’attacco di fantomatici hacker che avevano moltiplicato il numero di preferenze rispetto agli elettori effettivi. Un’operazione più che altro di marketing che è servita ad offrire false garanzie sull’affidabilità tecnica del mezzo, certificato perfino da una società straniera. Il guaio è che a conti fatti, Grillo si è ben guardato dal pubblicare i numeri della sua consultazione, per cui abbiam saputo a giochi fatti quante persone, o altro, abbiano votato per Rodotà, Gino Strada o Milena Gabanelli. Questa procedura, non certificata se non da una società pagata dal suo controllato, per un insigne giurista come Rodotà è democrazia. A qualcun altro può sembrare una solenne beffa.
Certo, è troppo poco citare questi episodi per avanzare una tesi impegnativa come quella dell’intelligenza di Casaleggio e compagni con forze sconosciute. Potrebbero essere semplici coincidenze, anche se costituiscono comunque fatti molto curiosi, come lo strano rapporto tra il Movimento e la destra berlusconiana, lo psiconano, come lo chiama Grillo. Volendo logicamente ragionare sui fatti, prescindendo dalle misteriose intenzioni che animano i protagonisti, non si può non riconoscere che un accordo dei 5 Stelle con Bersani ed il Centrosinistra avrebbe materialmente spazzato via Berlusconi dalla scena politica, relegandolo ai suoi guai giudiziari. Avrebbero potuto decretare nella Giunta per le elezioni la sua ineleggibilità, tanto per iniziare, proseguendo poi con la legge sul conflitto di interessi. Ebbene, Grillo accusa i partiti di questa mancata opportunità, causata, secondo lui, dalla non costituzione delle commissioni parlamentari, pur in assenza di un governo. Ma siamo proprio sicuri che far fuori l’uomo più potente d’Italia sia solo una questione di leggi sorrette, per di più, dal nulla della mancanza di una maggioranza parlamentare? Le battaglie del passato contro i privilegi del gruppo televisivo di Berlusconi sono state aspre e cruente. Il Cavaliere ha messo in campo tutta la sua potenza di fuoco, vincendole, alla fine. Come si possa pensare di eliminarlo con un tratto di penna è uno di quei misteri ai quali Grillo non darà mai risposta.
In ultimo una piccola osservazione. E’ stato rieletto Napolitano come presidente della Repubblica e con tutta probabilità il nuovo governo non sarà molto diverso da quello Monti. Ci ritroviamo in una situazione molto simile a quella del 2011, con la differenza che allora il Movimento non era in Parlamento ed il PD esisteva ancora. A distanza di meno di due anni, poco è cambiato, a meno del PD ridotto al più grosso gruppo misto della storia e del Movimento, che nonostante abbia una cospicua pattuglia parlamentare non riesce ad incidere fattivamente sulla politica nazionale. Per di più sono cresciuti i consensi per Berlusconi, allora in calo. Siamo veramente sicuri che sia tutta colpa di Bersani?


Sabino Saccinto

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Pubblicato il 08/05/2013 h 22:33:51
Modificato il 18/06/2013 h 16:51:02

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