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La sfida di Antonio

Antonio Decaro ha sciolto la riserva. Sarà il candidato del Centrosinistra alla presidenza della Regione Puglia. A danno del suo maggiore avversario, che non è l’ipotetico e ancora indefinito candidato della destra.

Finalmente Antonio Decaro si è deciso, dopo mesi che ha tenuto tutti sulle spine non sciogliendo quella riserva e lasciando che il dilemma shakespeariano lo attanagliasse: “continuo a fare l’europarlamentare, per di più presidente di una importante commissione, o me ne torno in Puglia per candidarmi presidente?”
Decaro ha fatto quello che ogni politico scafato farebbe: ha posto delle condizioni, stringenti se vogliamo, forse esagerate, per qualcuno. Era chiaro fin dall’inizio che lui si trovava in una condizione di forza e poteva dirlo: “sarò presidente, o quantomeno mi candiderò, se mi togliete dai piedi quei due”.
E i due sarebbero Nichi Vendola e Michele Emiliano. Non due qualunque, ma i due precedenti presidenti della Regione Puglia che insieme ne hanno retto le sorti per un ventennio senza soluzione di continuità. Capite bene di cosa stiamo parlando. E capite anche che scegliere di diventare il terzo presidente, dalla Primavera pugliese in poi, mettendo veti in Consiglio su “quei due,” è un rischio, per certi versi, ma anche un fatto politicamente molto rilevante. Decaro ha spiegato l’imposizione di questa condizione con il fatto che non si sarebbe sentito libero in Consiglio regionale se due presenze così ingombranti avessero fatto parte di quell’assise. Chissà, forse c’entra Freud, ma l’impressione che se ne riceve è che Decaro non sia stato così chiaro nello spiegare i motivi di tanta pervicacia.
Michele Emiliano e Nichi Vendola sono stati sì entrambi presidenti di regione, ma sono due figure molto diverse tra loro. Nichi Vendola ha lasciato la politica attiva per ritirarsi a vita quasi privata da almeno una decina d’anni. La candidatura nelle file di Sinistra Italiana è un fatto più esistenziale che politico. Senza di lui si rischierebbe di non superare la soglia di sbarramento. Metterlo sullo stesso piano di Michele Emiliano è quantomeno avventato, anche perché i due si sono amati, e tanto, in passato, ma recentemente Vendola non ha lesinato critiche al Presidente. E non si trattava di quisquilie, ma di prese di posizione anche molto dure nei confronti di Emiliano. Sull’azione amministrativa, ma anche e soprattutto per il modo piuttosto personale che Emiliano ha di gestire il potere. La questione, forse, interessa poco a Decaro. Lui non si candida al ruolo di segretario politico, ma di presidente di una istituzione. Le dinamiche interne alla coalizione potrebbero apparire lontane. Ma potrebbe anche trattarsi di una percezione erronea: i consiglieri si candidano nelle liste dei partiti o delle liste civiche ed è innegabile che fibrillazioni all’interno dei partiti possono creare grosse turbolenze nell’amministrazione regionale. E Decaro quanto potrarsi fidarsi di una coalizione siffatta?

In questi ultimi dieci anni, in Puglia abbiamo assistito ad un fenomeno preoccupante: la perdita di senso dei partiti politici. E’ un fatto curioso. Da un lato la regione ha acquisito prestigio e visibilità nazionale, e anche oltre, di cui mai aveva goduto in passato, dall’altro è stato terreno di discussioni accese sul potere dei cacicchi. Potremmo dire che la politica ha funzionato bene come amministrazione. Ha creato i presupposti, ha dato una spinta, ha mobilitato energie positive. Ma c’è anche un lato oscuro. La vita democratica ha subito rallentamenti. In questi anni la Regione è stata governata da una sorta di dispotismo democratico che ben si riassume nella figura di Emiliano.
Emiliano non è un capo politico nel senso classico. Non indica la direzione ad un popolo che si riunisce sotto la sua guida. Non prefigura scenari. La sua figura è più simile a quella di un viceré che a quella di un condottiero, e la spregiudicatezza fa parte del suo modo di gestire il potere. Gli elementi che lo confermano non mancano. E’ un magistrato in aspettativa che fa politica ormai da più di vent’anni ma che non ha preso mai la tessera di un partito. Glielo impedisce quel suo eterno essere un magistrato in aspettativa. Ha retto le sorti della Regione facendo presa più sulla sua personalità e sul segno del comando che incoraggiando una evoluzione democratica. A tutti coloro che in questi anni si sono presentati alla sua Corte non ha certo chiesto lezioni di alta politica o di irreprensibile moralità. Ha chiesto quello che chiedono i potenti ai loro vassalli: obbedienza e consenso. L’interagire con gruppi organizzati, con strutture determinate, lo contraria. Va bene il colloquio, la mediazione, ma meglio avere a che fare con singoli capi o capetti che con segretari di partito perfino pretenziosi, i primi sono più facili da controllare. Le liste civiche da lui o a lui ispirate, hanno avuto principalmente questa funzione. Non rappresentano la modernità, una nuova forma di aggregazione più diretta e immediata, più vicina alle istanze del popolo, ma qualcosa di antico. Non sono piani di discussione, ma sistemi di garanzia del potere, camere di compensazione tra i desiderata dei capibastone e quanto il Governatore è disposto a concedere. Certo, era inevitabile rischiare qualche incidente. E ce ne sono stati tanti. Più di quanti sarebbe stato auspicabile averne. Ma ciò non ha scalfito il sistema di potere di Emiliano, che è rimasto tale ed in grado di condizionare anche futuri candidati.

Tutto questo Decaro lo sa, così com’è ben conscio che l’habitat, il brodo di coltura del potere di Michelone è proprio l’aula del Consiglio regionale, il luogo dove si tessono alleanze e imboscate. Emiliano, infatti, non ha partiti personali che rispondono direttamente a lui, non ha presa diretta sugli elettori. Piuttosto si affida a una rete di capibastone che controllano i consensi, non importa come. E il luogo dove questa fusione avviene è proprio l’aula del Consiglio regionale. Spodestandolo dalla stanza dei bottoni lo si sterilizza.
Ma Decaro sa anche che un viceré è sempre un viceré anche quando viene detronizzato e che in un ambiente come quello, forgiato in dieci anni di certosino lavoro, non è pensabile poter governare senza eradicare l’emilianesimo. E di certo non lo puoi fare se il demiurgo è lì con te a controllare ogni tua mossa.

Sabino Saccinto

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Pubblicato il 24/09/2025 h 11:45:49
Modificato il 24/09/2025 h 11:54:11

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