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Canosa democratica

Una crisi dalle conseguenze imprevedibili ha minato la prima amministrazione di sinistra dopo due lustri di gestione Ventola. Tutto è iniziato con le dimissioni dei due assessori PD Basile e Quinto e sta proseguendo con le dimissioni del sindaco La Salvia.

E’ passato poco più di un mese da quel lunedì 8 settembre in cui, come un fulmine a ciel sereno, si sono dimessi due assessori pesanti della giunta La Salvia - Pietro Basile (Lavori pubblici) e Gianni Quinto (Politiche sociali) - che improvvisamente, agli inizi di un consiglio comunale rimandato per assenza del numero legale, anche il sindaco annuncia le sue dimissioni: l’ecatombe del Centrosinistra a Canosa. Se le dimissioni dei due assessori hanno rappresentato un colpo decisamente ferale per l’Amministrazione La Salvia, quella del sindaco è il colpo di grazia. Ormai non si parla più dell’uscita dalla vita pubblica di due personaggi storici dell’ultimo centrosinistra locale (il terzo è il dott. Pasquale Di Fazio, presidente del Consiglio), ma della fine del Centrosinistra così come lo abbiamo conosciuto finora. Fu curiosa la tempistica dell’annuncio circa un mese fa (poco prima di un consiglio comunale che stava decidendo in extremis le tariffe della TASI e della TARI); è addirittura sospetta quella del sindaco nell’ennesima assise in cui si sarebbe dovuto approvare il bilancio di previsione.
L’Amministrazione La Salvia non ha mai vissuto una vita tranquilla, è stata sempre piuttosto tribolata, forse più per problemi interni che altro. Si ricordano le dimissioni dell’avv. Princigalli dalla Polizia municipale, di Nicoletta Lomuscio dal Bilancio e Contenzioso, dell’avv. Pavone dal Contenzioso e dalla Polizia municipale qualche giorno prima della festa patronale del 2013, o quelle ai limiti del grottesco del dott. Minerva, anch’egli assessore alle Politiche sociali (come Quinto), osteggiato dal suo stesso partito (il PSI), dimissionato per volere del suo segretario e riassunto in quota lista La Salvia, salvo poi essere defenestrato definitivamente nella primavera del 2014.
In poco più di due anni, con Quinto e Basile la giunta La Salvia ha cambiato sei assessori ed ha superato due crisi: la prima nell’estate del 2013 e la seconda nella primavera del 2014. Ora ne sta vivendo una nuova di fine estate mentre si è già alle porte di un autunno decisamente caldo. Paradossalmente, al di là dei rimpasti, che in passato si risolvevano quasi sempre con un cambio di deleghe senza lasciare morti sul campo - con l’unica eccezione del già citato dott. Minerva che in una di quelle tempestose tormente in un bicchier d’acqua ci ha rimesso la poltrona - le uscite più clamorose e dolorose sono avvenute quasi sempre in solitaria, dalla sera al mattino, e rigorosamente per problemi personali.
Con Quinto e Basile si è inaugurata una nuova tendenza: la coppia, ma i motivi ufficiali non sono mai cambiati. Se la giunta La Salvia non passerà alla storia per quella che ha cambiato il maggior numero di assessori, sicuramente verrà ricordata per quella con il più alto numero di rinunce per motivi strettamente intimi. Mi limito a considerare le vicende degli assessori in quanto son convinto che le dimissioni del sindaco siano strumentali ad un riequilibrio dell’intera maggioranza, troppo delicata è la situazione per essere da lui confermate.
Di Gianni Quinto non si è parlato molto e anche il comunicato di risposta all’articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno era un chiarissimo benservito che non lasciava spazi a dubbi o ripensamenti, almeno da parte del sindaco. Diversa è la posizione di Pietro Basile, che oltre ad essere stato assessore, è stato anche vicesindaco, il suo braccio destro. Le sue dimissioni sembrano legate ad un progetto vecchio almeno di una decina d’anni, tornato improvvisamente in auge in questi mesi: il San Giorgio Village. Dire che su quest’impianto faraonico non c’è molta chiarezza all’interno della maggioranza è un eufemismo. Si contesta la presenza di un vincolo idrogeologico che non esisterebbe, ritenuto addirittura l’invenzione di qualcuno per far sì che i proprietari dei terreni non pagassero le imposte comunali come aree edificabili. Questione da legulei, direbbe Gennaro Caracciolo. In realtà, il San Giorgio Village è il progetto della discordia per il centrosinistra, e da suoi consiglieri è stato sempre visto come il fumo negli occhi, per i costi esagerati, per l’aura di mistero che circonda i finanziatori e per i dubbi sulla redditività dell’impresa. Uno strano affare, se vogliamo, dal quale il Comune – stando a quanto asserito da alcuni – ci ricaverebbe opere di urbanizzazione primaria a costo zero per una zona di nuovo insediamento - di fatto - industriale. Ma il punto è proprio quello: che senso avrebbe per un privato spendere buona parte del budget in opere pubbliche che eroderebbero non poco i margini di guadagno per l’impresa, a fronte di un progetto sul quale non è chiaro quale sia il piano finanziario di rientro? Acclarato dagli organi competenti che non esisterebbe un impatto ambientale rilevante, come mai nessuno si è posto il problema di quello paesaggistico?
Non manca un aspetto che rende ancora più delicata l’intera questione: i finanziamenti. L’enormità della cifra ha da sempre inibito ogni forma di discussione intorno al San Giorgio Village, specie da parte dei gruppi ambientalisti che pure a Canosa hanno una certa tradizione, forse perché era convinzione comune che si trattasse di una sorta di bluff o, quantomeno, di una manovra elettorale, come tale si è rivelata nel 2007 e nel 2009. Oggi invece si apprende che il soggetto proponente, che nel frattempo non è cambiato (GESCOS) è un intermediario che dietro avrebbe addirittura fondi di investimento esteri. Ciò sembra essere pacificamente accettato da molti, gli stessi che tacciano di minaccia alla libera impresa ogni piccola curiosità che naturalmente sorge.
Noi uomini semplici, e tra questi anche i blogger, siamo abituati a ragionare partendo da concetti concreti, anche se a qualcuno possono apparire arcaici. Ad esempio, chi sono gli imprenditori che realizzerebbero il parco, intendendo con questo termine persone che quantomeno siano del ramo, che se ne intendano? A supporto ci possono anche essere i cosiddetti soci finanziari, che affascinati ci scommettono, ma non sono loro, né potrebbero esserlo, gli attori principali.
Il San Giorgio è autenticamente sui generis. Nella formulazione originaria doveva trattarsi di un parco tematico con annesso dell’altro. Oggi del parco si parla molto meno e prevale l’annesso. Il soggetto che dovrebbe realizzarlo è sempre il consorzio GESCOS, legato una volta alle cooperative bianche. Se di GESCOS se ne sapeva poco o nulla allora, se ne sa ancora meno adesso. Non è nota la sua esperienza nella realizzazione di impianti così particolari, così come non è chiaro se la sua funzione sarà solo quella di realizzare l’opera o anche di gestirla. Di certo quei 300 e passa milioni di euro che ci dicono sia il costo del progetto, GESCOS non li ha. Ma questo pare poco interessante perché i soldi, se non ci sono, è difficile inventarseli. La domanda che i blogger si pongono è un’altra. Può un sindaco, un’amministrazione, avallare un investimento di quella entità senza che siano noti i nomi dei proponenti e siano addirittura top secret i fondi che vi parteciperebbero? Può un’amministrazione di sinistra, che in teoria dovrebbe essere antitetica rispetto alla finanza e alle sue regole oscure, anche se normalmente accettate nei suoi circuiti, non porsi alcun interrogativo di fronte a simili proposte? Può un’amministrazione responsabile non chiedere garanzie di durata dell’investimento, visto che quegli impianti apporteranno modifiche permanenti al territorio e che se dovesse fallire tutto ci ritroveremmo circondati da fantasmi industriali? Domande di questo tipo richiedono risposte, ma anche un’informazione capillare, non riguardano solo gli affari privati di un gruppo di proprietari terrieri e di altri non molto ben specificati soggetti, ma l’assetto ed il futuro di un’intera città, composta da un numero molto più significativo di individui.
Ma queste sono solo le idee di un blogger assolutamente non in sintonia con quello che accade nel Palazzo. Sul punto Basile ritiene che il San Giorgio Village sia un’opportunità che la città di Canosa non può lasciarsi sfuggire. Altri della maggioranza scorgono una sospetta continuità con l’amministrazione precedente e si dichiarano scettici. Ma è ovvio che quando una crisi di governo è su questioni legate a giri impressionanti di denaro, e di mezzo corre il rischio di finirci l’amministrazione, tutto cambia e le responsabilità assumono dimensioni incommensurabili. E’ chiaro che Pietro Basile tratta da una posizione di forza. Dalla sua conta l’esperienza, il lavoro di sostituto del sindaco in più di un consesso, gli agganci politici. Dall’altra non si intravedono personalità in grado di prenderne il posto. La critica anche forte di alcuni soggetti della maggioranza si infrange inevitabilmente quando si passa alla prassi, al che fare dopo. E’ naturale quindi che Basile non verrà mai sostituito, pena la decadenza dell’intera giunta e le elezioni anticipate.
Questa la situazione fino a domenica 28 settembre mattina, quando in uno di quegli infiniti conciliaboli sembrava che si fosse trovata la quadra (come direbbe Bossi). Poi deve essere accaduto qualcosa di sinistro se a distanza di due giorni e prima di un importante consiglio comunale, c’è stato questo clamoroso coup de theatre del sindaco che ha spiazzato tutti. In una sua intervista a Claudia Vitrani per la testata “La Terra del Sole”, si è cimentato in metafore mutuate dalla sua professione (l’elettroshock, il defibrillatore) per spiegare la sua mossa, aggiungendo una davvero curiosa considerazione: non è un cuore malato quello dell’Amministrazione. E’ decisamente la prima volta che un protocollo medico viene applicato ad una maggioranza politica, ovviamente noi tutti ci auguriamo che non sottoponga nella pratica di tutti i giorni pazienti sani a terapie così robuste. Intanto ha rimesso le sue dimissioni, che a parere di qualcuno sarebbero omeopatiche. Rimane però il dubbio che Ernesto non ci stia dicendo tutta la verità e che all’interno della sua coalizione l’atmosfera non sia così idilliaca come vorrebbe dare ad intendere.
Inutile nasconderci che questa amministrazione ha raccolto un’eredità non facile sotto tutti i punti di vista e che stia attraversando un periodo storico tra i più critici che abbiamo mai avuto. Non si tratta solo di una crisi economica o dei valori, come spesso si ama dire, ma qualcosa di più profondo e sconvolgente. Quando sono state vinte le elezioni (il 2012) sembrava davvero di vivere in un altro mondo. Le cose erano quasi tutte al loro posto e i loro contorni ben definiti. Certo, in due anni gli uomini cambiano, le situazioni possono peggiorare o migliorare, l’esperienza della dura realtà può rendere più disincantati, può naturalmente stancare, può rarefare l’entusiasmo. Le frustrazioni possono deprimere, ma non solo. Nel giro di due anni sono accaduti fatti che hanno sconvolto, se non ribaltato, l’intero mondo e ad esserne uscita trafitta è stata proprio quella sinistra che aveva vinto le amministrative. Improvvisamente son caduti tutti i punti di riferimento, si son perse le tracce di quella società, di quegli uomini e di quelle donne che non poco avevano contribuito alla riuscita dell’impresa. Oggi si avverte un profondo vuoto e una domanda: dove sono finiti? Dov’è quel sistema di ideali e di passioni che pure aveva condotto ad una competizione impossibile nelle previsioni ma vinta nella realtà?

Mentre rifletto, apprendo dai giornali che gli iscritti al PD si sono ridotti drammaticamente quest’anno e che le sezioni sono ormai vuote. Si tratta di un fenomeno iniziato nel 2008 con Veltroni e che è proseguito inesorabilmente fino all’apoteosi con la segreteria Renzi. Si parla di deficit di militanza nonostante il paradosso di un Partito democratico con un exploit di suffragi alle ultime Europee, dato nel quale ormai la segreteria Renzi si crogiola da qualche mese. Del fenomeno sembra preoccuparsi solo la vecchia guardia. Per i renziani non è altro che la naturale evoluzione di quel che il segretario premier preconizza da anni, ovvero un partito all’americana, un grande comitato elettorale che si riunisce e si attiva nei momenti topici, quando in pratica vi è da eleggere qualcuno.
A questo non sono abituati gli italiani e non lo è soprattutto la sinistra che da sempre considera la sezione del partito come il luogo dell’incontro, del confronto, della discussione, della partecipazione e dell’informazione. Il nuovo corso renziano sembra avere orrore di un sistema strutturato che pensa e decide autonomamente rispetto al governo o al segretario, preferendogli un’accolita verticistica in cui si concentra il potere e dove prevale la logica dei numeri. Le elezioni sono vissute come qualcosa tra il plebiscito, il reality show e una competizione sportiva dove non ci si preoccupa nemmeno tanto del bel gioco. Per Renzi la percentuale di voti è come il denaro di vespasiana memoria: non olet. Tutto si giustifica se i risultati sono buoni: l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratoti, la strizzatina d’occhio agli industriali, gli accordi simbiotici con Berlusconi, la responsabilità civile dei giudici, il primato della politica sulla Magistratura anche quando qualche compagno sbaglia. Il rottamatore, come si qualificò all’esordio, almeno aveva in sé la voglia di cambiare, di sostituire un pezzo vecchio con uno nuovo lasciando inalterata la funzione, anzi migliorandola. Quello di questi giorni sembra più un demolitore impegnato a far strame dei simboli della vecchia sinistra, sostituendoli con non ben precisati pezzi, o non sostituendoli affatto.
Il bello è che per Renzi tutto quanto la sinistra classica aborriva è di sinistra. Ancora più sconcertante è che a pensarla così sono anche intellettuali, giornali, maitre a penser una volta addirittura rivoluzionari nella loro radicalità. Questo è il mondo in cui oggi ci muoviamo, in cui si son persi i punti di riferimento ideologici e, come sostiene Eugenio Scalfari, quando vengono meno l’idealità e i grandi principi, a muovere gli uomini sono spesso gli interessi individuali e la personale sete di potere.

Sabino Saccinto

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Pubblicato il 06/10/2014 h 23:53:42
Modificato il 18/10/2014 h 04:30:40

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