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Nicastro vuol fare sul serio

Riuscirà la Regione Puglia a realizzare gli obiettivi di legge di raccolta differenziata? Il pessimismo è d’obbligo. Dietro i rifiuti si nascondono traffici molto redditizi, non per niente la Buzzi Unicem ha chiesto di aumentare il quantitativo di CDR da bruciare in cementeria.

L’assessore alla Qualità dell’Ambiente, dott. Lorenzo Nicastro, è tornato a bomba sulla questione della raccolta differenziata. Lo ha fatto non certo con spirito di soddisfazione, anzi. Nel mirino sono finiti Comuni e ATO, che con la differenziata non hanno mai avuto una grande affinità. Il 15 settembre ultimo scorso, infatti, di concerto con il suo omologo al bilancio, Michele Pelillo, e il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha fatto pubblicare un comunicato stampa shock con il quale ha annunciato che sta lavorando ad una nuova legge regionale per disciplinare il settore della raccolta dei rifiuti solidi urbani. Lo scopo è quello di mettersi in regola col Decreto legislativo n. 152 del 2006 (Decreto Ronchi, Edo non Andrea) che prevede per il 2012 qualcosa di irrealistico e disperato insieme: il 65% di raccolta differenziata per ogni ATO pugliese, un sogno al quale Nicastro forse non crede, ma che teme, visto che il mancato rispetto di questo parametro potrebbe procurare alla Regione Puglia un procedimento sanzionatorio da parte dell’UE. Vorrebbe realizzarlo – anche se passare dal 18% certificato al 65% è come chiedere ad un pigmeo di scalare l’Everest - mazzolando Comuni e ATO, prima che ci pensi la Corte dei Conti con la Regione Puglia, utilizzando l’arma impropria della ecotassa. Secondo il progetto in gestazione presso gli uffici della difesa del territorio, i Comuni meno virtuosi (ovvero la stragrande maggioranza di quelli pugliesi) pagherebbero per il conferimento in discarica non più un massimale di 15 € per tonnellata di rifiuti indifferenziati, ma 25,82 €, un incremento in termini percentuali del 72%. Un bel salasso per le amministrazioni poco virtuose, se si considera che in quanto ad ecotassa il Comune di Canosa di Puglia, ad esempio, già paga, stando al rendiconto del 2010, la non trascurabile somma di 262.745 €, che diventerebbero, nel caso, 451.921 €, tali cioè da far sballare gli equilibri di bilancio sulla copertura delle spese di raccolta, con conseguente incremento della TARSU.
In realtà, che Nicastro stesse cercando di smuovere la palude della gestione dei rifiuti, si è avuto sentore nel marzo scorso, quando relazionai nel post “L’ecotassa di Francè” di una delibera della Giunta regionale con la quale si invitavano i Comuni ad istituire isole ecologiche come strumento che permettessero il raggiungimento, allora, di quegli stessi obiettivi tornati stringenti oggi.
Niente paura, almeno per ora, per i Comuni, il comunicato stampa è una mera dichiarazione di intenti, tutto è rimandato all’approvazione di una legge regionale, data per certa a fine anno ma non è detto, che permetterà di applicare già a gennaio 2013 le nuove aliquote. Dubito che riusciranno a farlo. Ciò che invece è molto interessante è la delibera di Giunta regionale n. 1894 del 13 settembre, partorita un giorno prima che venissero rilasciate le dichiarazioni che sappiamo. E’ una perfetta disanima di tutte le deficienze del nostro sistema amministrativo in fatto di gestione rifiuti, non viene risparmiato nessuno, Comuni e ATO. In buona sostanza si afferma che le risorse economiche messe a disposizione dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica per modernizzare i sistemi di raccolta differenziata, non sono state spese, visto che delle 14 ATO che coprono il territorio pugliese, solo la Bari 5 ha sottoscritto un disciplinare con la Regione e si avvia ad attivare gli interventi. Le rimanenti sono rimaste mute e insensibili.


E’ strano che nella polemica estiva sugli enti inutili nessuno si sia preoccupato di citare le ATO, è impossibile trovarne qualcuno che riesca ad eguagliarle. Costituite per legge per gestire l’intero ciclo dei rifiuti, si sono rivelate un autentico fallimento. Dueparole.eu già in passato si è occupato della incredibile vicenda della ATO Bari 1, finita sotto commissariamento in quanto il suo presidente non era riuscito nemmeno a scrivere il suo atto principe, quel Piano dei Rifiuti deciso sotto commissariamento, una situazione quantomeno incresciosa paragonabile a quella di un ente locale che non riesce ad approvare il bilancio di previsione.
Non se la cavano meglio i Comuni. Nonostante la Regione garantisse una copertura finanziaria sufficiente per la realizzazione di 80 Punti Ecologici, solo 27 Comuni hanno presentato istanza di ammissione al finanziamento, così come i 250 Comuni pugliesi non capoluogo hanno presentato solo 100 proposte progettuali.
E alcune considerazioni dell’assessore suonano più come un atto di rassegnazione che come una strigliata, quando afferma ad esempio che attualmente si è ancora lontani dal raggiungimento degli obiettivi di legge e che alcuni enti locali tuttora sono inerti dal porre in essere le azioni di loro competenza per l’allineamento ai suddetti obiettivi, come dimostra la circostanza che non tutti i Comuni hanno presentato proposte di ammissione a finanziamento, per concludere che il perdurare di uno stato di inadempimento medio tempore registrato da molti dei Comuni pugliesi determinerà il mancato raggiungimento degli obiettivi da parte della Regione Puglia, al 2013, con conseguente e probabile avvio di una procedura di infrazione comunitaria.
Le determinazioni finali, ovvero la nomina di un commissario ad acta per quegli enti (Comuni o ATO) che non dovessero rientrare tra gli obiettivi regionali e nazionali, sembra l’agitare di uno spauracchio nella speranza che qualcuno si impressioni; in realtà l’esperienza di questi anni ha dimostrato che quando il Governatore tenta di fare la voce grossa con Comuni e Province, viene riportato a più miti consigli dal primo stormir di foglie, e puntualmente le leggi che propone subiscono annacquamenti a volte indecenti, la legge regionale sull’istituzione del Parco dell’Ofanto docet. In quanto al commissariamento delle ATO, poi, siamo abituati come ai frutti di stagione, ormai è un fatto ciclico che non ha mai risolto un problema.
Il passaggio più inquietante delle considerazioni iniziali dell’assessore Nicastro, riguardano alcune sue preoccupazioni, meglio esplicitate con l’osservazione che le attuali percentuali di raccolta differenziata determinano, come conseguenza diretta, un sovra-utilizzo dell’impiantistica regionale destinata al trattamento e/o smaltimento dei rifiuti urbani indifferenziati e, quindi, una eccessiva produzione di CDR ed il rapido esaurimento delle volumetrie di discarica disponibili con evidenti conseguenza sul piano della tenuta complessiva della gestione dei rifiuti urbani nella regione Puglia.
Ovviamente ciò che per Nicastro è una iattura, per altri può rivelarsi, e già lo è, un grosso affare, infatti qualche giorno dopo, precisamente il 27 settembre, appare sul BURP un avviso riguardante le conclusioni di una procedura di valutazione di impatto ambientale , quella per l’autorizzazione rilasciata alla cementeria di Barletta del gruppo Buzzi Unicem di ulteriori quantitativi di CDR da bruciare.
E’ una storia a parte, ma emblematica dell’affare che sta dietro il ciclo dei rifiuti, di come l’inefficienza di buona parte degli enti in gioco torni utile a soggetti privati che a vario titolo con i rifiuti lavorano, dalle discariche ai gestori dei termovalorizzatori, alle industrie che producono cemento.

Come è noto, nel comprensorio nord-barese non è semplice installare inceneritori, per via delle pressioni esercitate da gruppi organizzati di cittadini, infatti non ve ne sono, fatta eccezione per un impianto improprio, non nato come termovalorizzatore tout-court ma che funziona come tale: la cementeria di Barletta. La legge lo permette anche se le regole del buonsenso sconsiglierebbero l’utilizzo di un carburante composito come il CDR in un ambito urbano inidoneo. La cementeria non è molto distante dalla città, ma in prossimità di un quartiere densamente abitato. Ciò imporrebbe, in ossequio a quello stesso principio di cautela grottescamente invocato in un caso dal Comitato del VIA, una certa prudenza nell’autorizzare i carburanti, la loro quantità in esercizio, la sostenibilità e le finalità di un impianto industriale. Ma sembrerebbe che tutto questo non rientri nelle preoccupazioni del Comitato.
Partiamo da un dato in sé spaventoso. La cementeria già al 7 aprile 2010 (data di richiesta del potenziamento) era autorizzata a bruciare 20.000 tonnellate all’anno di CDR e altre 20.000 tonnellate di rifiuti pericolosi (oli esausti ed emulsioni), con un limite giornaliero di 150 tonnellate. Immaginare 40.000 tonnellate di materiale composito, nel più ottimistico dei casi, se non addirittura pericoloso che brucia vicino al centro di una città di quasi 100 mila abitanti, ha in sé del clamoroso. Pensare che tali quantitativi siano addirittura elevabili, è da irresponsabili, ma i nostri sono riusciti anche in questo giocando su alcune leve. Ciò che fa impressione è che l’autorizzazione matura senza una netta assunzione politica di responsabilità, ma per delega, facendosi scudo, a volte, di procedure burocratiche previste per legge, ma capziose nella loro applicazione. L’unico soggetto politico che esprime netta contrarietà è il Comune di Barletta a voce del suo Consiglio, il primo ed il 2 dicembre 2010, che dà in via pregiudiziale parere negativo alla richiesta….di incrementare le quantità di rifiuti speciali non pericolosi da utilizzare per il ciclo produttivo del cemento, invocando un tavolo tecnico alla Provincia. Segue immancabile il primo scarico di responsabilità da parte del Presidente della BAT Francesco Ventola, che prende più di tre mesi per riscontrare la richiesta del Comune di Barletta. Con una nota dell’otto marzo 2011 fa sapere che pur manifestando la disponibilità a partecipare ad incontri o eventi informativi finalizzati a garantire la migliore conoscenza delle problematiche ambientali, tuttavia rilevava l’esaurimento della fase pubblicistica del procedimento, l’assenza di osservazioni e/o pareri tecnici formulati nell’alveo dello stesso, e l’ormai prossima definizione del procedimento già oggetto di avanzata valutazione istruttoria del Comitato Tecnico Provinciale.
In altre parole, il Presidente della BAT sente di avere la coscienza a posto, non essendo pervenute osservazioni nel periodo in cui i documenti sono stati pubblicamente disponibili per la loro consultazione. Stando a quanto si riporta, solo un rappresentante del Comitato Andria Città Sana e un consigliere provinciale hanno richiesto accesso agli atti. Ma è chiaro che gli eventuali rilievi avrebbero dovuto avere carattere tecnico o giuridico per poter essere accolti, dimostranti anomalie magari palesi riscontrabili documentalmente. Considerata la copiosità e la complessità dell’argomento non sarebbe stato facile per un gruppo di cittadini, sia pur organizzato, trovare appigli efficaci. Il Presidente scansa comunque la questione rimandandola agli organi competenti, ovvero ai tecnocrati del Comitato Tecnico Provinciale, quelli che dovrebbero fare il lavoro sporco che la politica non può fare. Ma da chi è composto quest’organo di nomina politica che si occupa di questioni tecniche, ovvero un ossimoro a cui Francè ci rimanda come se lui non avesse nulla a che fare con loro? La Sezione VIA del Comitato Tecnico Provinciale per le Materie Ambientali ha reso il suo parere il 22 giugno 2011, quindi è la stessa che Francè ha nominato intuitu personae con proprio decreto e senza alcun vincolo due mesi prima, l’undici aprile. E chi ve ne fa parte? Il primo della lista è l’arch. Casieri, consigliere comunale PDL a Canosa e fedelissimo del Ventola. Il suo studio professionale è ritenuto, in alcuni ambienti dell’opposizione, una sorta di crocevia strategico di tutti gli affari più delicati e sensibili riconducibili a qualche titolo al sindaco o alla sua amministrazione.
Il secondo è il prof. ing. Giancarlo Chiaia, sul quale insiste un rilievo di incompatibilità, infatti risulta essere anche membro del Comitato Regionale per la Valutazione di Impatto Ambientale, nominato con decreto dell’assessore Nicastro il 7 giugno 2011, contravvenendo esplicitamente all’art. 1, comma 2-bis del Regolamento Regionale n. 10 del 17 maggio 2011 laddove recita “L’incarico di esperto nel Comitato di V.I.A regionale, di cui alla lett. a) del comma 2 dell’art. 28 della legge regionale 12 aprile 2001, n. 11, è incompatibile con qualsiasi ruolo nei Comitati Tecnici Provinciali. Qualora la suddetta incompatibilità si determini in epoca successiva alla nomina, l’accettazione dell’incarico nei Comitati Tecnici Provinciali determina la decadenza automatica dall’incarico di V.I.A. regionale.” In realtà, il prof. ing. Chiaia era già membro del comitato provinciale quando lo hanno nominato a quello regionale. Se fossero stati più attenti, questo incidente non ci sarebbe stato. Comunque lo stato di incompatibilità permane anche se non ricade nel caso della decadenza automatica dal comitato regionale.
Ebbene, questa assortita assise dei sette saggi, tra i quali vi è pure un avvocato, in ossequio all’intuitu personae del Presidente della Provincia, si è pronunciata molto positivamente sull’aumento del quantitativo di CDR da impiegare, non senza destare qualche perplessità. Per esempio si legge nell’avviso: Il Comitato, partendo dal presupposto che il proponente intendesse raddoppiare le quantità di CDR da impiegare nel processo di combustione, passando da 40.000 a 80.000 t/anno, aveva invitato la Ditta a rimodulare la propria proposta progettuale, prevedendo l’impiego di 60.000 t/anno di CDR.
Appare incredibile che un comitato di esperti che deve pronunciarsi su una variazione di funzionamento di un impianto ad elevato impatto sulla salute dei cittadini, non sappia che la cementeria già bruci 20.000 tonnellate di rifiuti pericolosi. Una cantonata davvero imperdonabile, tanto da far fare un figurone alla Buzzi Unicem che scrive: La Ditta con comunicazione n. 31724 del 29/11/2010, ha trasmesso ulteriore documentazione integrativa ed ha chiarito, tra l’altro, di essere autorizzata alla combustione di 140 T/die (51.000 T/anno) di CDR oltre che di 20.000 t/anno di rifiuti pericolosi (oli esausti ed emulsioni). Con la predetta comunicazione la società proponente ha chiaramente manifestato la sua volontà di rinunciare alla gestione dei rifiuti pericolosi sopra detti, già autorizzati da altre Amministrazioni competenti con distinti atti autorizzatori, nella misura di 20.000 T/anno, con ciò modificando in modo significativo il contenuto dell’Istanza di V.I.A.
La risposta del Comitato, a questo punto, non può essere che entusiastica, che infatti riporta nel suo verbale: Il Comitato, sulla base di tutte le considerazioni svolte nel precedente parere e delle evidenze emerse dalla documentazione integrativa prodotta dal proponente, ritiene che la modifica proposta dall’istante sia di carattere migliorativo per l’ambiente circostante, in quanto prevede la rinuncia all’impiego di 20.000 tonnellate di rifiuti pericolosi attualmente autorizzate e la sostituzione delle stesse con un’identica quantità di CDR (non pericoloso). Tuttavia, considerando anche la ubicazione dell’insediamento industriale in prossimità del centro abitato, a vantaggio di sicurezza ed in applicazione del principio di precauzione, il Comitato ritiene di individuare in 178 t/giorno (complessivamente 65.000 t/anno) l’impiego di CDR.
Affermazioni piuttosto interessanti. Il Comitato Tecnico, non scientifico, riconosce che un problema esiste, quello dell’estrema vicinanza dell’impianto industriale al centro abitato. Quindi è cosciente dei rischi indotti alla popolazione, se non altro per la ridotta distanza. Invoca perfino il principio di precauzione, ma lo fa a maglie larghissime, arrogandosi il potere di decidere sulla giusta dose di inevitabili inquinanti da somministrare alla popolazione. Ma sulla base di quale legge e letteratura scientifica lo fa? Non è noto.
Facciamo anche attenzione ad un altro passaggio. Il Comitato, forse liquidando l’argomento in maniera frettolosa, ritiene positiva l’idea di autorizzare l’incremento di combustibile da CDR, in quanto questo non solo sarebbe meno pericoloso dell’olio esausto, ma addirittura non pericoloso in assoluto, salvo poi ricordarsi di raccomandare all’azienda una serie di prescrizioni, tra le quali: Siano sempre assicurate le condizioni del processo così come presentato al Comitato Tecnico provinciale ed approvato con verbale del 29 Giugno 1998 “ tempi in permanenza globale dei gas (> 20 sec) e temperature elevate (> 200°C per 2 sec in corrispondenza del bruciatore principale e > 1000°C al bruciatore secondario)”; queste temperature devono essere misurate e registrate in continuo vicino alla parete interna o in altro punto rappresentativo del forno. Si ricorda che l’alimentazione del rifiuto combustibile deve essere impedita: a) all’avviamento finché non sia raggiunta la temperatura minima prescritta; b) qualora la temperatura nella camera di combustione scenda al di sotto di quella minima prescritta; c) qualora le misurazioni continue degli inquinanti negli effluenti indichino il superamento di uno qualsiasi dei valori limite di emissione, a causa del cattivo funzionamento o di un guasto dei dispositivi di depurazione dei fumi.
In sintesi, il CDR si può utilizzare ma solo a certe condizioni. Un concetto che logicamente è in antitesi con la sbandierata innocuità di questo tipo di carburante, se esso fosse non pericoloso come sostenuto, il Comitato non porrebbe tante condizioni sulla metodologia di incenerimento. Farlo è come dire che sì, le centrali nucleari non sono pericolose fin quando non esplodono. E’ lecito a questo punto sollevare interrogativi sui controlli, su chi fa in modo che le raccomandazioni vengano seguite alla lettera, e su quali sarebbero le conseguenze sull’ambiente di una non sana gestione del processo. Intanto più in là è lo stesso comitato a prescrivere uno studio delle ricadute attraverso l’utilizzo del “ MODELLO LAGRANGIANO” (giustificato dalla presenza in loco delle brezze marine), con celle da 100 m su un area di 10 Km. Tale studio è finalizzato all’individuazione da parte della società di almeno sei punti all’interno dell’impianto dove a seguito dei risultati ottenuti, occorrerà effettuare sia l’analisi deposimetrica della durata di almeno trenta giorni (D.lgs 155/2010) per l’individuazione degli IPA e Metalli Pesanti, che il campionamento attivo giornaliero per un periodo di trenta giorni ogni tre mesi, attraverso l’utilizzo di pompe per le rilevazioni di Pm10 presso i recettori e sui filtri di tali pompe dovranno essere effettuate le analisi degli IPA dei Metalli Pesanti. Aggiungendo che qualora nell’impianto non sia presente una centralina meteo la Società deve provvederà alla installazione della stesa.
E’ abbastanza evidente che bruciare CDR non è così non pericoloso come vorrebbero dare ad intendere i membri del Comitato, specie se si ammette che bisogna avere particolari precauzioni nel gestire i bruciatori (la temperatura non deve essere inferiore ad una determinata soglia); evitare che il CDR venga incenerito subito all’accensione dei forni; effettuare studi sulla direzione dei venti; installare dispositivi che serviranno a raccogliere campioni per l’individuazione di metalli pesanti e PM 10; dotarsi di una centralina meteo. In pratica si confermano tutte quelle che sono le paure dei comitati di cittadini contrari agli inceneritori, con l’aggravante che dettare raccomandazioni tecniche ora che si è deciso un maggior utilizzo dei CDR, non ha assolutamente un effetto rassicurante sulla popolazione, visto che la cementeria già bruciava questo particolare tipo di combustibile e non è chiaro se i tecnici della Buzzi Unicem già prendessero certe precauzioni. Alla fine si autorizza, salvo diverso parere regionale espresso nell’Autorizzazione Integrata Ambientale, a bruciare 65.000 tonnellate all’anno di CDR, che possono sembrare meno di quanto la Buzzi Unicem aveva chiesto (un totale complessivo di 80.000 tonnellate all’anno), ma che in realtà, scontate le 20.000 di rifiuti speciali che l’azienda ha dichiarato di non voler più trattare, rappresentano un incremento di 45.000 tonnellate di CDR, superiore alla differenza tra gli 80.000 complessivi richiesti e i 40.000 già autorizzati. Davvero un bell’affare per qualcuno.


Sabino Saccinto

Vers. pdf
Pubblicato il 12/12/2012 h 22:06:12
Modificato il 12/12/2012 h 22:06:12

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