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Dopo la primavera, l’autunno


Giorgio Ambrosoli
E’ davvero finita la Primavera pugliese se i maggiori protagonisti di quella stagione (Vendola e Emiliano) si salutano ormai da ex e si lanciano strali sui giornali? Sembrerebbe proprio di sì. Breve storia di un divorzio annunciato e di uno strano conflitto di interessi.
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Che Vendola avesse grosse difficoltà a ricandidarsi come presidente delle Regione Puglia era chiaro già da qualche mese, cioè da quando, dopo le elezioni di giugno, son partiti messaggi nemmeno tanto cifrati al suo indirizzo da parte del riconfermato sindaco di Bari Michele Emiliano.
Quella fine di primavera è stata una delle più drammatiche della sua presidenza, con un’indagine in corso per tangenti nella sanità, i miasmi delle inchieste su Giampi Tarantini, il sequestro di documenti nelle sedi dei partiti di centro-sinistra che avevano partecipato all’ultima competizione elettorale, da parte del PM Desiré Digeronimo. Ciononostante, non si può dire che il Presidente sia rimasto immobile di fronte alla tempesta, non dimentichiamo la rapidità con cui è stata cambiata l’intera giunta regionale, con esclusioni senz’altro di peso, ad iniziare proprio da quel Sandro Frisullo finito nello scandalo delle leggiadri serate della Bari da bere.
Sembrava fosse tornata la quiete dalle parti della coalizione oggi di maggioranza, almeno fino a qualche settimana fa, quando si è riproposto il nodo delle candidature ed è risultato che nell’ottica di un’alleanza il più possibile estesa, Vendola incontrava la netta contrarietà, se non l’ostilità, di due pezzi numericamente significativi: IDV e UDC.
Per motivi diversi, il partito di Di Pietro e quello di Casini ritenevano che Vendola non fosse un candidato digeribile per il loro elettorato. Fiutata l’aria non proprio buona, Vendola ha giocato d’anticipo. Senza imbarcarsi in estenuanti mediazioni, mostra subito le carte e si candida, a prescindere. Una mossa che non piace affatto al Partito Democratico. Avrebbero preferito tempi meno rapidi ed azioni meno repentine ed invece si ritrovano di fronte al fatto compiuto. Una matassa difficile da sbrogliare, tanto che tutti i delegati regionali vengono riuniti il 28 novembre a Bari. Per l’occasione precipita da Roma D’Alema che impone già le scelte del partito: su Vendola non si riscontrano convergenze e, alla luce delle ultime tornate elettorali, l’UDC disporrebbe di un cospicuo pacchetto di voti che, guarda caso, sono proprio quelli che fanno la differenza tra centro-destra e centro-sinistra: l’ago della bilancia di craxiana memoria.
Ma la variabile Vendola ha qualcosa di imprevedibile in sé, non dimentichiamo che una parte non trascurabile degli elettori del Partito Democratico sono su una sorta di border line, molti sono stati comunisti prima di diventare pidiessini e diessini, altri si sentono ancora di sinistra e il compagno Vendola non lo avvertono come qualcosa di così distante dalla loro cultura e dalla loro tradizione. Non è da escludere che molti di loro abbiano mal digerito l’operazione di allontanamento, così come non deve essere sfuggito ai vertici del partito che l’eventuale candidatura del presidente uscente in assoluta autonomia, potrebbe privare la coalizione, spostata verso il centro, proprio di quel pacchetto decisivo di voti invano rincorsi con alleanze basate più sull’aritmetica che sulla politica.
In altre parole, se Vendola non dovesse ritirare la sua candidatura, l’intera operazione si potrebbe rivelare un autentico fiasco. Il tentativo di metterci una pezza è più penoso della pezza stessa e, come spesso accade, il diavolo costruisce le pentole, ma sovente dimentica i coperchi. Il coperchio che il PD tenta di portare su una pentola già in ebollizione rischia di saltare: propongono al presidente di ritirarsi, lasciandogli la possibilità di scegliersi il successore, in cambio otterrebbe un ruolo politico di tutto rispetto. Facile prevedere come Vendola reagirà: non accetterà incarichi da padre nobile, buono per ritirarsi in pensione, né indicherà un delfino decaffeinato che non sia inviso alla coalizione. A quel punto la situazione potrebbe complicarsi non poco, non solo e non già per un doppio candidato che fa riferimento alla stessa area politica, ma soprattutto perché quel candidato potrebbe essere Michele Emiliano, che per farlo sarà costretto a dimettersi da sindaco di Bari, con il rischio serio di perdere sia regione che capoluogo.

Movimenti sotterranei

L’idea di non ricandidare il presidente uscente rientra nel novero delle scelte a metà strada tra il coraggioso, il temerario ed il suicida. Innanzitutto perché espone il centro-sinistra ad una critica tanto semplice quanto scontata che rappresenterà un argomento fortissimo e di facile presa per l’elettorato meno incline a grandi ed articolate cogitazioni nel valutare l’operato di una giunta uscente. E’ pacifico per molti che se una coalizione boccia, essa stessa, il suo candidato è perché non ne dà un giudizio positivo. Così come è ancora più lapalissiano che la colpa del supposto fallimento non può essere addebitata completamente ed esclusivamente ad un sol uomo, ma anche a chi, quella presidenza, l’ha sostenuta o ne è stato organico. Non per niente, più di un esponente democratico si è lasciato sfuggire giudizi non proprio generosi sull’amministrazione Vendola, lasciando trasparire una sorta di incapacità di gestione. Quali siano di preciso i fatti contestati nessuno lo dice, ma qualche ipotesi non sarebbe nemmeno tanto azzardata.
Qualche tempo fa paventai il rischio che, nella campagna elettorale prossima ventura, la Destra si sarebbe trovata nella possibilità di cavalcare due tigri formidabili per attaccare il Centro-Sinistra: gli eventuali sviluppi dell’inchiesta sulla sanità pugliese e la probabile emergenza rifiuti. Due argomenti che lascerebbero scoperto il governatore, costringendolo ad una difesa disperata. Si tratta di due situazioni in cui Vendola non ha una responsabilità diretta, ma la sua carica lo pone inevitabilmente nell’occhio del ciclone. La prima è quella che ha visto come protagonista l’ex assessore alla sanità, Tedesco. In quel caso il governatore non operò per tempo rimuovendolo dall’incarico, e lo lasciò a ricoprire quel ruolo quando era noto già da tempo che si trovava in una condizione di palese conflitto di interessi: i figli risultavano essere titolari di un’azienda che operava proprio nel settore della sanità: fornitura di protesi, per la precisione. Ritrovarsi a difendere una posizione indifendibile con il Centro-Destra che accusa la Sinistra di conflitto di interessi, può apparire surreale, ma è accaduto. Come decisamente incredibile appariva la giustificazione che Tedesco ne dava, ovvero che le aziende fossero dei figli, emulando, in questo senso, il migliore dei Lunardi.
Anche nella gestione del ciclo dei rifiuti Vendola non ha responsabilità dirette, ma è chiaro che un’eventuale emergenza lo farebbero ritrovare nella pessima, quanto scontata, posizione dell’unico capro espiatorio. Ho parlato già delle questioni relative alle ATO, ma su questo punto, come su altri, la Regione ha fatto sentire poco il suo peso, non imponendo le sue direttive e consentendo uno sbraco totale degli enti locali, con tentativo di recupero solo in extremis. A titolo di esempio è molto esplicativo quello sulla ecotassa sul conferimento dei rifiuti in discarica, un provvedimento che sarebbe stato opportuno varare molto tempo prima e che curiosamente si è ritrovato neutralizzato nei suoi effetti dalle resistenze dei Comuni, che a più riprese hanno ottenuto la non applicazione della delibera, consentendo ai meno virtuosi di pascere, rimandando sine die i tributi effettivi da pagare. Ma anche la questione del Parco dell’Ofanto non è stata gestita al meglio, tra polemiche feroci e fischi all’indirizzo del presidente, chiusa con una messe tale di richieste accolte da renderlo inutile, visto che nella riperimetrazione proposta si salvava a malapena il greto del fiume.

Errori dettati dall’inesperienza e dall’ingenuità che forse da soli basterebbero a giustificare un cambio di cavallo, ma che destano sospetti per come l’intera vicenda della candidatura si è avviluppata e che ha fornito a Vendola (qualora non dovesse compiere quell’auspicato passo indietro) un argomento non peregrino in campagna elettorale.
Tempo fa comparve sul sito Dagospia un pezzo che descriveva una trattativa sotterranea tra Massimo D’Alema e Pierferdinando Casini intorno all’Acquedotto Pugliese. Qualche giorno prima era stata approvata dal Parlamento la Legge Ronchi sulla privatizzazione dell’acqua, ovvero si impone a tutte le società pubbliche, esercenti gli acquedotti, di cedere le proprie partecipazioni, fino a scendere, a regime, al 30% del capitale. Vendola da sempre considera l’acqua un bene fondamentale, contrariamente alla nuova legge che la declassa a semplice merce, ed un punto rilevante del suo programma politico è stato quello di procedere coerentemente lungo tale strada, rigettando ad ogni piè sospinto le varie ipotesi di vendita a privati dell’Acquedotto Pugliese. Alla notizia reagisce con una presa di posizione molto netta: trasformerà l’AQP in un ente di diritto pubblico, in modo da aggirare le nuove prescrizioni.
Sta di fatto che viene resa nota la voce, non smentita, di un interessamento di Caltagirone (suocero di Pierferdi) per l’AQP; dello stesso si era saputo che aveva già manifestato interesse per un acquedotto napoletano. E’ chiaro che quello dell’acqua è l’affare del futuro, almeno fino a quando la legge sarà quella firmata da Ronchi.
Stranamente, proprio in quel periodo è Casini a far sapere che Vendola non rientra tra i candidati compatibili con l’elettorato dell’UDC, c’è da cambiarlo. Stranamente, D’Alema trova un’intesa con Casini, escludendo Vendola proprio come Casini desiderava.
Qualcuno potrebbe osservare che la scelta politica di D’Alema sia ispiarata da un preciso calcolo aritmetico e che non esistano prove che l’accordo con Casini faccia da sfondo ad una meno nobile questione di affari privati. E’ chiaro che un’osservazione di questo tipo sarebbe ottima per un’aula di tribunale, dove si decide della libertà di una persona; ma in politica vale molto l'opportunità, nel senso che se in un dì non molto lontano dovesse accadere realmente che il suocero di Casini assumi il controllo dell’AQP, sarebbe davvero molto difficile per D’Alema dimostrare che l’evenienza non era prevedibile o che la condizione dell’on. Casini era tale da non creare il sospetto di un conflitto di interessi. L’idea della combine sarebbe molto più plausibile di quella della perfetta buona fede accompagnata ad una dose massiccia di ingenuità, una caratteristica davvero molto poco credibile per un politico navigato e di lungo corso come Baffino di ferro.

Pubblicato il 09.12.09 h 20:01
Modificato il 09.12.09 h 20:01

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