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La tessera sanitaria

Ennesimo consiglio comunale sul piano di riordino ospedaliero della Regione Puglia, con una novità: il Comitato B619 ha chiesto che i consiglieri tutti rimettano le loro tessere di partito.

Durante l’ultimo consiglio comunale, quello della mattina di sabato 19 gennaio 2013, dedicato, come di consueto nell’era Ernesto, ai problemi dell’ospedale di Canosa, è accaduto un fatto decisamente inconsueto, almeno a mia memoria: la massima assise istituzionale della città ha interrotto per circa mezz’ora i suoi lavori (sospesi è il termine tecnico) per permettere ad un rappresentante del Comitato B619 di rilasciare una dichiarazione. Non ero presente, ma mi hanno riferito che la proposta shock partita da quello scranno temporaneo, è stata di invitare “tutti” i consiglieri comunali a dimettersi dai partiti di appartenenza, ovvero a rispedire la tessera al mittente. Ipotesi benedetta anche dal sindaco, il quale ha tenuto a precisare che lui, di tessere, ha preso sol quella sanitaria.
Ovviamente nessuno dei consiglieri renderà il cimelio (ad iniziare da quello più antico forse, la tessera del PDL di Francè) e probabilmente anche il portavoce del comitato si sarà reso conto dell’enormità della proposta, a metà tra la sublime boutade e la feroce provocazione. Del resto ci sono dei precedenti. All’inizio del nuovo sindacato fu proprio Francè a chiedere una sorta di auto immolazione di tutto il Consiglio comunale per protesta su quanto in Regione si stava decidendo in materia di piani ospedalieri.
Tali fatti non possono non sollecitare qualche riflessione a proposito del clima di antipolitica che aleggia perfino tra i più alti scranni, alimentato da un odio quasi viscerale verso i partiti (specie se di sinistra o di centro-sinistra), che si manifesta, nel migliore dei casi, in una forma di disprezzo nemmeno tanto dissimulata. Potremmo discutere in eterno della mitica società civile depositaria di ogni virtù e della classe politica partitica portatrice di ogni vizio, ma credo che l’assunto per il quale la società politica sia un sublimato di quella civile è alquanto arduo da confutare.
Questo il caso generale. Ora il caso specifico: la temuta chiusura dell’ospedale di Canosa. Sappiamo di per certo che protagonisti principali di questa storia sono, nell’ordine, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, gli assessori alla sanità regionale che si sono avvicendati in questi anni Fiore e Attolini, il direttore generale della ASL BAT Gorgoni. Di questi, solo Vendola è indubbiamente un politico, mentre sia gli assessori che il direttore generale rientrano in quella categoria di tecnici della cui scelta il Vendola si è onorato, proprio perché dei politici non ci si può fidare molto.
Di più, il riordino del piano ospedaliero pugliese attiene a questioni più che altro finanziarie, proprio quelle che oggi si preferisce affidare a tecnici piuttosto che a politici, e anche le ultime norme nazionali, particolarmente restrittive in fatto si spesa sanitaria, sono state varate da un governo tecnico, assumendo il diktat della ineluttabilità degli equilibri di finanza in ogni angolo della vita pubblica.
L’ospedale di Canosa appartiene ad un periodo storico (fine anni “60, inizio anni “70) in cui l’economia non ristagnava e i politici francamente non si preoccupavano molto di spendere soldi pubblici, alimentando quel vortice, chiamato debito, per il quale il bilancio dello Stato è oggi in un attivo (avanzo primario) del quale non possiamo assolutamente disporre per costruire strade, ospedali o investire nell’istruzione, proprio perché siamo costretti a consegnarli ai sottoscrittori del nostro debito, capitale e interessi. Ora, se sia giusto e morale continuare a pagare i propri debiti, fa parte di una discussione già oggetto della politica e presumibilmente anche dell’antipolitica. Di sicuro, se si ammette che anche la sanità è soggetta alle leggi economiche, la discriminante diventa la sostenibilità tecnica e finanziaria di un modello sociale e di welfare in cui la sanità, e i suoi costi, ricoprono un’importanza fondamentale. Come farvi fronte è un problema indubbiamente politico prima ancora che tecnico, e forse le tessere in questo momento servono di più proprio per elaborare quella visione generale della società che non può assolutamente limitarsi alla stantia ripetizione di slogan, alla rivendicazione di privilegi a rischio, a estenuanti contrattazioni che approdano allo snaturamento delle istanze iniziali. In questa lotta per l’ospedale non si è ancora capito se il fine sia salvare posti di lavoro comunque non a rischio, visto che nessuno ha prefigurato licenziamenti in massa, o garantire servizi minimi alla collettività. Se lo scopo è il primo va bene tutto, ma se diventa il secondo, proprio non si capisce come mai diventi accettabile, o perfino desiderabile, il baratto di unità operative per acuti (termine tecnico utilizzato per indicare chi ha un bisogno immediato di assistenza) con posti letto per cronici (atto che salvaguarda una struttura più che un bisogno impellente).
Il problema della politica non politica o apolitica quando non antipolitica, passa proprio per quel crinale, per un bisogno di politica alta che proprio non si intravede perfino tra i politici di professione. La questione non è quella di cavalcare la tigre di questo o di quell’altro movimento, di appagare un vero o solo presunto bisogno sociale allo scopo di non vedere venir meno consensi, se non acquisirne degli altri. Le risposte che i cittadini meriterebbero sono molto più complesse. Ad esempio, in che misura è ridefinibile il rapporto tra politica e tecnici nel completo rispetto dei due ruoli? La lotta dei cittadini canosini per il loro ospedale pone inesorabilmente il problema. Premesso che non è possibile accettare una riduzione delle tutele sulla salute in una civiltà moderna, tecnici e politici dovrebbero sentirsi spinti a costruire una macchina più efficiente, a prescindere dalla composizione delle sue parti. Al cittadino a cui viene a mancare un presidio importante come un ospedale, l’unica rassicurazione valida e accettabile è che la funzione non cessi, pervenendo, se possibile, ad uno standard di cura addirittura superiore a quello tradizionale. Preoccupazione dei tecnici dovrebbe essere quella di mettere a punto sistemi che soddisfino queste condizioni. Ai politici il ruolo, in assoluta indipendenza, di verificare se realmente la macchina funzioni.
Il guaio è che sull’argomento sanità si assiste spesso a cacofonie, quando non a sovrapposizione o inversione dei ruoli, con il risultato che i tecnici si limitano ad applicare disposizioni provenienti da altri tecnici sulla sola scorta di una riduzione indiscriminata di spese, e i politici non sono assolutamente in grado di verificare e documentare se quelle azioni producono benefici o guai, molte volte perché preferiscono tenersi una struttura rassicurante come un ospedale, piuttosto che aprire indagini sulla reale condizione di salute dei cittadini.


E’ significativo, ad esempio, che una questione di cui ci siamo occupati in passato come l’istituzione di un registro tumori, non solo abbia ottenuto risposte negative dalla precedente amministrazione (comprensibili, dati i sospetti che gravavano su di essa), ma che non sia tra i punti programmatici anche della nuova. Alcune scuole ritengono che la salute vada garantita soprattutto con la prevenzione, da noi si preferisce insistere con la cura.

Sabino Saccinto

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Pubblicato il 21/01/2013 h 21:45:51
Modificato il 15/01/2014 h 13:34:00

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